Il Pakistan rappresenta un paese chiave della strategia occidentale in Asia meridionale, in particolar modo relativamente alla questione afghana. Il suo ruolo nelle relazioni internazionali è, però, critico soprattutto per quanto riguarda il possesso di armamenti nucleari e i rapporti conflittuali con l’India.
Per rapportarsi correttamente al ruolo pakistano nell’arena internazionale è necessario analizzare più in dettaglio la sua situazione interna, che rappresenta un fattore non indifferente nella fragilità del paese.
Una delle principali caratteristiche di uno stato nazione classico, così come definito in Occidente, è l’omogeneità interna, e cioè la condivisione di un’identità etnica, di una religione o di valori condivisi. Il Pakistan non corrisponde a questa descrizione.
Come altri stati che si sono formati in seguito alla disgregazione degli imperi coloniali, anch’esso ha seguito, infatti, una logica diversa, guidata dalla spartizione dei territori stabilita dalle potenze egemoni: i territori vengono, infatti, suddivisi senza tenere in considerazione le diverse etnie presenti ma secondo schemi geopolitici astratti che continuano a sopravvivere anche in seguito alla decolonizzazione.
Le popolazioni si trovano così “intrappolate” in questi schemi e l’improvvisa mancanza della potenza coloniale provoca l’inasprirsi dei conflitti tra esse: tra il 1945 e il 1989 ci sono stati 32 conflitti, di cui 19 legati alla fine del colonialismo. Tra questi anche gli scontri indo-pakistani.
Lo stesso impero delle Indie, creato dalla potenza coloniale inglese, subisce, infatti, questa sorte che si esprime nella divisione del subcontinente indiano in India e Pakistan, su base prevalentemente religiosa, e nei continui conflitti tra i due vicini.
Fino al 1971 il Pakistan è un paese particolare, geograficamente diviso in due parti, separate da chilometri di territorio indiano, accomunate esclusivamente dal fatto di essere abitate da musulmani. Oltre a questo la situazione interna del paese è fin dalla nascita caratterizzata anche da una composizione etnica molto frastagliata, che ha conseguenze evidenti sulla stabilità sociale e, dato che le etnie non rispettano i confini nazionali, anche sui rapporti con i vicini.
In antropologia il termine etnia indica un gruppo umano che si può identificare attraverso la condivisione di una cultura, una lingua, una tradizione e che occupa un territorio definito. In base a questa definizione in Pakistan è possibile individuare un numero elevato di etnie, di cui le principali sono i Panjabi, i Pashtana, i Sindi e i Beluci. Ne esistono poi di minori che completano la complessità del quadro.
Prendendo a riferimento la divisione etnica successiva al 1971, quindi alla secessione nel Bangladesh (Pakistan orientale), è possibile definire il peso di ognuna di queste etnie nella società pakistana: in particolare i Panjabi costituiscono il 56% della popolazione, i Sindi il 17%, i Pashtana il 16% e i Beluci il 3%.Esse presentano caratteristiche diverse tra loro, dovute anche alla posizione geografica che, necessariamente, ne influenza le tradizioni.
Questa complessa composizione etnica provoca delle conseguenze inevitabili sia sulla stabilità sociale sia sul ruolo internazionale del Pakistan e, quindi, anche sul rapporto con le potenze occidentali relativamente all’Afghanistan e al terrorismo interazionale.
I Panjabi sono l’etnia principale che fin dai tempi della dominazione inglese dell’India, detiene le redini del potere militare e amministrativo; in particolar modo la sua presenza è incisiva nell’apparato burocratico permanente, nel Parlamento e, soprattutto, nel dominio dell’acqua, bene fondamentale per l’economia pakistana. La società dei Panjabi si colloca geograficamente a nord-est del paese ed è strutturata secondo uno schema sociale che si basa sui rapporti di parentela e sui bisogni del gruppo, in contrasto con quelli individuali (gli individui sono infatti spinti a condividere i frutti di un eventuale successo o ricchezza). La società panjabi è suddivisa in quam, termine che indica una sorta di divisione in caste ma che non si basa su connotazioni religiose bensì sulla discendenza di una persona e sulla sua occupazione. La divisione in quam risulta essere netta soprattutto nelle aree rurali, dove la popolazione è organizzata in diversi “ceti sociali”. Come espressione della sempre maggiore egemonia panjabi all’inizio degli anni ’80 la capitale pakistana viene spostata da Karachi (nel Sind) a Islamabad (nel Panjab settentrionale) e due dei maggiori dirigente del periodo, il Generale Zia e il Primo Ministro Nawaz Sharif, sono di provenienza panjabi.
Queste caratteristiche portano inevitabilmente ad uno scontro con le altre etnie ma, in particolare, con quella dei Sindi che si sentono, in proporzione, sotto-rappresentati nelle cariche pubbliche e che godono di una ricchezza minore rispetto ai Panjabi. Questo gruppo etnico occupa una piccola zona a sud-est del paese, da sempre caratterizzata da grande povertà. In seguito alla partizione del 1947 milioni di Indù e Sikh che vivevano in queste aree sono migrati in India, sostituiti dai Muhajirs, i musulmani immigrati in Pakistan, che hanno occupato le migliori posizioni commerciali facendo di Karachi la città simbolo del loro gruppo. Il Sind è da allora soggetto a frequenti lotte interne tra i Muhajirs che, grazie alla buona educazione ricevuta in India, hanno occupato numerosi posti pubblici di buon livello e i Sindi che si sentono, appunto, sotto rappresentati all’interno del loro stesso territorio.
Passando alla zona sud-ovest del Pakistan si entra nel Beluchistan, la terra dei Beluci, che si estende anche oltre i confini del paese portando la popolazione ad abitare anche parti dell’Iran e dell’Afghanistan. Si tratta in questo caso di una popolazione tribale che occupa un territorio estremamente inospitale e inadatto a qualsiasi possibilità di coltivazione naturale. La popolazione, infatti, si avvale di terre irrigate artificialmente per l’agricoltura e trova fonte di sostentamento nella pesca e nella vita nomade dei pastori. Anche in questo caso le relazioni di parentela sono alla base della società ma sono pari come importanza a quelle di amicizia, mostrando una grande flessibilità da parte di questo gruppo nei rapporti interpersonali. La struttura sociale dei Beluci è fortemente gerarchica ed è basata sul rapporto tra il capo e il suo seguito; il potere è concentrato nelle mani dei capi tribù e la vita della comunità si fonda sull’onore e sull’ospitalità, valori caratteristici dei Beluci. Negli anni ’70 questo gruppo etnico affronta un periodo conflittuale con il governo centrale pakistano; a partire dalla richiesta di maggiore autonomia si arriva ad un inasprimento dei rapporti fino al progressivo ammorbidimento delle due posizioni alla fine degli anni ’70, proprio in concomitanza dell’invasione sovietica dell’Afghanistan che ha avuto per il Beluchistan effetti importanti: numerosi campi per i rifugiati afghani vengono costruiti a nord della regione, provocando in alcuni casi la formazione di strutture permanenti e cambiamenti demografici. Gran parte dei rifugiati sono, infatti, di etnia pashtun-afghana.
I Pashtana, infine, occupano la parte nord-occidentale del Pakistan e sono l’ultimo grande gruppo etnico del paese. Anch’esso si estende oltre il territorio pakistano, sconfinando in Afghanistan, di cui sono l’etnia dominante. I Pashtana afghani e quelli pakistani sono stati divisi nel 1893 dalla creazione della Durand Line, il confine tra i due paesi, deciso senza tenere in considerazione le divisioni etniche del territorio. Caratteristica importante di questa etnia è il forte legame che si è mantenuto nei secoli tra la parte pakistana e quella afghana, che ha portato le tribù sul confine a definire una sorta di stato nello stato, il Pashtunistan, che basa i propri comportamenti sul Pashtunwali, la legge decisa dai capi tribù, che sono considerati primi tra eguali, secondo un principio fortemente egalitario. Evidentemente si tratta anche in questo caso di una popolazione tribale che riserva una grande importanza ai singoli capi delle tribù, i quali si gestiscono autonomamente riunendosi nelle jirga e decidendo delle questioni più importanti, senza tenere in considerazione le direttive del governo centrale. I Pashtana sono i più estremi soprattutto per quanto riguarda il trattamento delle donne, la cui vita è limitata alla sfera privata. L’onore, la vendetta e l’ospitalità sono tre caratteristiche fondamentali del pashtunwali, rispettate addirittura fino alla morte. La società pashtun è organizzata in clan e il possesso della terra è determinante per la considerazione dell’individuo come parte della comunità. Anche in queste aree, molto montuose e difficili, la ricchezza è ridotta e il controllo del governo centrale è molto basso. Si tratta di zone amministrate autonomamente in cui si sono diffusi il contrabbando di armi, il traffico illegale di droga – come possibili fonti di sostentamento anche per parte della popolazione – e un Islam sempre più radicale, portato e sostenuto dai Taliban, principalmente di etnia pashtun. A partire dagli anni ’80 un numero sempre maggiore di membri dell’esercito, della polizia civile e della burocrazia appartiene all’etnia pashtun, portando questi organi a sostenere in modo incondizionato il movimento talibano, fin dalla sua nascita nel 1994.
Queste brevi descrizioni delineano tratti evidentemente differenti tra le etnie pakistane, che costituiscono una possibile chiave interpretativa delle numerose contraddizioni del paese. Alla nascita del Pakistan il fondatore, Ali Jinnah, era conscio delle forti divisioni interne, che avrebbero potuto avere conseguenze negative sul futuro del paese, ma era anche convinto di poterle superare attraverso la condivisione dell’islam e l’appartenenza alla confessione musulmana.
L’islam è stato fin dall’inizio fortemente sostenuto, soprattutto dai Mohajirs, come unico collante nazionale che potesse permettere di superare le divisioni interne del paese. Nella storia del Pakistan tutti i Presidenti che si sono succeduti al potere hanno sostenuto la sua importanza, arrivando a promuovere una sempre maggiore islamizzazione della società, a partire dal Generale Ayub Khan (nel 1958 fece inserire nella costituzione pakistana il principio per cui le leggi dello Stato non avrebbero dovuto contraddire la sharia, la legge islamica).
Oggi, però, l’Islam non è più un elemento unificante: nelle aree tribali e di frontiera, infatti, si è diffuso un forte estremismo non condiviso dal resto del paese, dove partiti fondamentalisti hanno sempre ottenuto percentuali molto basse alle elezioni e dove l’Islam predicato è moderato. Inevitabilmente legato a questo elemento è la questione etnica: sono, infatti, principalmente i Pashtana ad appoggiare il fondamentalismo islamico, seguendo maggiormente l’indirizzo dei Pashtana afghani piuttosto che del popolo e del governo pakistani e creando una frattura nella popolazione che, per la maggior parte, considera il terrorismo come una minaccia (soprattutto in seguito all’aumento delle organizzazioni terroristiche minori e, quindi, degli attacchi interni alla stessa società pakistana).
Il progetto di basare l’unità dello stato pakistano esclusivamente sulla condivisione religiosa è fallito, nel lungo periodo, anche a causa della suddivisione del territorio in aree di appartenenza etnica nette, che ha portato ad una frammentazione generale dello stato, e perché gli stessi musulmani sono al loro interno suddivisi in sciiti e sunniti. I sunniti (77% della popolazione) si considerano i veri musulmani e si oppongono agli sciiti (20%) denunciandoli come non musulmani. Questa separazione è molto antica e persiste ancora oggi: anche se generalmente le due fazioni convivono in modo abbastanza pacifico, infatti, sono frequenti gli scontri tra le parti più estremiste.
Da quanto descritto emerge la complessità della situazione pakistana, estremamente difficile da risolvere in quanto le divisioni presenti sono radicate nella popolazione che difficilmente troverà un elemento unificante che possa superarle, considerato che i due elementi prescelti nel 1947 non sono stati in grado di eliminarle. È evidente come la fragilità causata dalla situazione pakistana, sommata ad altri elementi caratteristici del paese, rappresenti un tassello importante della debolezza e della difficoltà del rapporto tra questo paese e l’Occidente e possa costituire un ostacolo non indifferente per le strategie volte ad operare sullo scacchiere sud-asiatico.
* Giulia Fumagalli è dottoressa in Scienze internazionali (Università degli Studi di Milano)