L’ascesa del Movimento per un’Ungheria Migliore (Jobbik) ha suscitato perplessità e timori sia all’interno del paese, sia nell’intera Unione Europea. Tali paure sono fondate? Quali sono le ragioni del successo del Jobbik? Quali le conseguenze? Anatomia del terzo partito ungherese.
Come avevo pronosticato nel mio articolo “Patriottismo slovacco e questione ungherese”, Viktor Orbán si è aggiudicato le elezioni politiche ungheresi tenutesi lo scorso Aprile. In realtà, semplicemente, il leader del centro-destra ha stravinto: il suo partito, Fidesz, ha ottenuto ben 263 seggi. L’Országgyűlés, il parlamento unicamerale di Budapest, si tingerà presto d’arancione, il colore di Fidesz appunto. L’Ungheria è diventata “Orbánland”, la terra dove Viktor Orbán, con una maggioranza di oltre i due terzi che gli permetterà di emendare la costituzione a proprio piacimento, potrà dominare incontrastato. O quasi.
Questa volta, l’opposizione al Fidesz arriva da destra. Il giovane e atletico Orbán era già stato premier dal ’98 al 2002. All’epoca, grazie ad una distribuzione territoriale dei voti particolarmente favorevole, il Fidesz riuscì ad ottenere più seggi dei rivali socialisti dell’MSZP (pur ottenendo meno voti). Oggi non c’è stato bisogno d’invocare la geografia elettorale. La vittoria è stata netta, inequivocabile, e corrisponde ad un parallelo declino della sinistra. Come si sa, tuttavia, i voti si spostano secondo flussi. Ad un partito in caduta libera (l’MSZP, il quale è passato da 190 seggi a 59), fa da contraltare una formazione in mirabolante ascesa, il Movimento per un’Ungheria Migliore, o Jobbik, che entra per la prima volta in parlamento, collezionando ben 47 seggi.
Il successo, come vedremo, solo parzialmente inatteso del partito del trentunenne storico Gábor Vona ha catalizzato l’attenzione dei media di mezzo mondo. I timori e le perplessità per un risultato tanto rilevante ottenuto da una formazione di estrema destra hanno riempito per giorni i titoli dei principali quotidiani internazionali. Il New York Times ed il Wall Street Journal hanno parlato di rischi per la ripresa economica del paese derivanti dalla crescente influenza del Jobbik, mentre il Financial Times non ha esitato a definire “demoni ungheresi” i suoi militanti(1).
Come solitamente (e fisiologicamente) avviene in questi casi, l’intensità delle accuse verso il Movimento per un’Ungheria Migliore è andata di pari passo con il suo crescere di consensi. È normale: una formazione politica radicale radicalizza il dibattito politico. Si è così arrivati a definire il Jobbik un partito “antisemita”, “razzista”, “anti-Rom”, “omofobo” e, addirittura, “filo-nazista”. Ma quanto c’è di vero in queste accuse? Difficile stabilirlo. Ad esempio, se da un lato l’insinuazione di “filo-nazismo” appare fuori luogo, se non altro perché fondata su motivazioni molto discutibili (in particolare, la presunta somiglianza tra le uniformi naziste e quelle della Guardia Magiara, fondata da Gábor Vona nel 2007, dichiarata illegale un anno dopo ed oggi in fase di ricostituzione), dall’altro lato non è da escludere che tra i militanti del partito vi siano simpatizzanti dei nazionalsocialisti tedeschi.
L’entità delle accuse rivolte ha portato la dirigenza del Jobbik a dare inizio ad una (meritoria) operazione di trasparenza politica. In una sezione speciale del sito ufficiale del partito, i principali “capi d’imputazione” vengono affrontati uno per uno e controbattuti, qualcuno con più successo di altri(2). Sempre all’interno della cosiddetta “operazione trasparenza”, rientra anche la traduzione in inglese del manifesto 2010 del partito, dal titolo “Cambiamento Radicale”. In effetti, Gábor Vona può vantarsi di essere stato il primo, nella storia dell’Ungheria, ad aver posto il proprio programma politico al vaglio dell’opinione pubblica internazionale(3).
Sicurezza, ambiente, famiglia, educazione, energia, trasporti e welfare sono i principali temi affrontati nel programma del Jobbik. Un’enfasi particolare viene posta sulle politiche agricole, quasi a voler raccogliere, almeno in parte, l’eredità di quel Partito dei Piccoli Proprietari Terrieri, ormai scomparso, che era stato vittima del colpo di mano comunista del ’47. Certamente il Movimento per un’Ungheria Migliore è il partito della puszta, delle campagne, specie orientali. È qui che si trova il bacino di voti del Jobbik, e non solo per la proposta di creazione di una banca per gli affari rurali, o per la volontà di rafforzare la tutela del prodotto biologico “made in Hungary”. Da queste parti la microcriminalità, spesso di matrice Rom, impazza ed il Jobbik pone la questione al centro della propria agenda. La soluzione proposta da Gábor Vona e soci, l’istituzione di una “gendarmeria rurale” volta appositamente a stroncare tale fenomeno, sembrerebbe aver fatto presa sull’elettorato se, come emerge dai dati, il Jobbik ha ottenuto i risultati migliori proprio nelle aree agricole con maggior percentuale di popolazione Rom (provincia di Borsod-Abaúj-Zemplén).
Ovviamente, anche sul tema della sicurezza non potevano mancare le polemiche (talvolta alimentate ad arte dallo stesso partito). Il fatto che l’idea della “gendarmeria rurale” andrebbe di pari passo con la reintroduzione giuridica del concetto di “gypsy crime”, termine utilizzato dalle autorità prima degli anni ’90 per indicare particolari reati tipicamente attribuibili alla comunità Rom, ha scatenato un putiferio di critiche sia da parte degli oppositori politici interni, sia da parte delle principali istituzioni internazionali.
Decisamente anti-europeista ed anti-atlantista, il programma politico del Jobbik si caratterizza per una particolare attenzione rivolta verso i paesi ad est dell’Ungheria: in particolare India, Cina, Giappone, Turchia, ma soprattutto Kazakhstan e Russia. Si tratterebbe solo in parte di un nuovo orientamento di politica estera. Già dal governo socialista di Ferenc Gyurcsány, grande sostenitore del progetto South Stream (pipeline volta a trasportare il metano russo nell’UE, bypassando l’Ucraina), Budapest ha attribuito sempre più importanza alla ostpolitk e sempre meno alla westpolitik. Lo stesso Viktor Orbán, un tempo fiero anti-russo (fu proprio durante il suo premierato che l’Ungheria, insieme a Polonia e Repubblica Ceca, entrò nella NATO), sembrerebbe aver allentato la sua ostilità verso Mosca. Contatti con Putin sono stati attivati già da parecchi mesi ed i rapporti tra Fidesz e Russia Unita sono tutt’altro che cattivi.
Il vigoroso nazionalismo sul quale si basa l’ideologia del Jobbik è alla base di due punti fondamentali del programma di partito: la lotta alle “infiltrazioni” finanziarie internazionali nel paese e la “riunificazione” della nazione ungherese. Per quanto attiene al primo punto, il Movimento per un’Ungheria Migliore sostiene che sia illusoria la dialettica “pensiero economico liberale/pensiero economico socialdemocratico”. In realtà, il contrasto dovrebbe essere tra scelte economiche favorevoli alla popolazione ungherese e scelte non favorevoli, come appunto quelle portate avanti, alternativamente, dall’attuale dialettica politico-economica. Ecco allora la proposta di una riforma globale del sistema bancario del paese, una proposta incentrata sulla creazione di una “Banca d’Ungheria” estranea agli interessi di gruppi di pressione particolari e capace di fermare il predominio delle banche commerciali multinazionali.
In merito al secondo punto, occorre precisare che se talune accuse rivolte contro il Jobbik appaiono esagerate o fuori luogo, non lo stesso varrebbe per la critica di “irredentismo”. Appare chiaro che i militanti del partito, così come una parte significativa della popolazione ungherese, non hanno ancora digerito il Trattato del Trianon del 1920, attraverso il quale le Potenze Vincitrici della I Guerra Mondiale si giocarono le vesti del Regno d’Ungheria, ridotto ad un quarto della sua superficie e ad un terzo della sua popolazione, in favore dei paese confinanti (le neo-costituite Jugoslavia e Cecoslovacchia, oltre alla Romania). Il “Cambiamento Radicale” del Jobbik non nasconde l’auspicio di riunificare (anche territorialmente) un giorno la nazione ungherese, cancellando le “ingiustizie” del XX secolo. Più a portata di mano e quindi immediatamente perseguibile, tuttavia, appare la tutela dei diritti (talvolta violati) delle minoranze magiare nel mondo e, in particolare, nei paesi confinanti, dove il totale dei Magiari ammonta a circa due milioni e mezzo.
Ma quale sarà allora l’influenza del Jobbik nel regno di “Orbánland”? Anzitutto possiamo affermare con certezza che, nei mesi a venire, la rilevanza politica del Movimento per un’Ungheria Migliore appare destinata ad aumentare. Questo perché i problemi posti al centro dell’agenda del Jobbik difficilmente sono destinati a trovare una soluzione (od anche solo un miglioramento) nel breve periodo. La campagna elettorale del Fidesz si è praticamente basata sull’assenza di promesse. D’altra parte esse non erano neppure necessarie: l’autodistruzione dei socialisti, iniziata già nel 2002 con l’oscuro premier Medgyessy e proseguita poi con l’autogol di Gyurcsány (pizzicato nel 2006 da una registrazione audio nella quale affermava di aver mentito “mattina, notte e sera” sulla situazione economica del paese), ha spianato la strada al successo di Viktor Orbán. In realtà, mancanza di promesse potrebbe significare mancanza di idee e di strategia politica per il futuro da parte del FIdesz, a tutto vantaggio della visione del Jobbik, destinata dunque ad acquistare ulteriore popolarità.
L’Ungheria è il paese dei paradossi politici, dove i socialisti sono liberisti ed i liberali statalisti. Ed oggi si aggiunge un nuovo paradosso. Un partito sostanzialmente antisistema, come il Jobbik, diventa (almeno potenzialmente) il principale garante del sistema stesso. Chi se non il movimento di Vona potrà fare da contrappeso allo straripante potere del Fidesz e di Viktor Orbán, capace oggi (raggiungendo in parlamento, in cordata coi cristiano-democratici, oltre i due terzi) di emendare la costituzione a proprio piacimento? Nel regno di “Orbánland” l’opposizione si farà soprattutto nelle strade e nelle piazze: hanno forse i socialisti le stesse capacità di mobilitazione popolare del Jobbik? Certo che no. E lo stesso, ovviamente, vale per il neonato partito ambientalista “La Politica Può Essere Diversa” (LMP).
Peraltro il paradosso diventa doppio se si considera per buona la tesi del giornalista Attila Bujak, secondo il quale sarebbe stato lo stesso Orbán, dopo la sconfitta alle elezioni del 2002, a spianare la strada a Gábor Vona ed al suo movimento. Occorreva, ritiene Bujak, un soggetto politico che dicesse alla gente ciò che Fidesz voleva ma non poteva dire, se intendeva rimanere un partito moderato. Il resto è storia: la nascita del partito Jobbik nel 2003, alla presenza del veterano della resistenza anti-sovietica del ’56 Gergely Pongrátz; l’amore/odio con l’altro partito di estrema destra, il Partito Giustizia e Vita (MIÉP); le proteste di piazza dopo l’uscita della registrazione nella quale Gyurcsány confessava le proprie menzogne, la successiva durissima repressione del governo e la crescita del sentimento nazionalista/anti-socialista nel paese; la fondazione, da parte di Vona, della Guardia Magiara, un’organizzazione con compiti di protezione civile e di difesa del territorio; lo scioglimento, imposto dall’autorità giudiziaria, dell’organizzazione stessa, la cui attività era ritenuta incompatibile con il rispetto dei diritti delle minoranze sancito dalla costituzione; lo straordinario risultato ottenuto alle elezioni europee del 2009, con ben 3 rappresentati inviati a Strasburgo (in un contingente ungherese di 22); infine, il risultato delle ultime elezioni politiche, circa il 17% dei voti e 47 seggi.
Il percorso di Jobbik è sempre stato caratterizzato da una costante ascesa. All’aumento dei consensi ha fatto da contraltare, come rilevato, un aumento delle polemiche e delle perplessità. In politica interna, il ruolo che il partito può giocare è potenzialmente positivo: molto dipenderà dalla capacità dei propri rappresentanti di stimolare un dibattito democratico su alcuni temi nei quali Jobbik esercita una sovranità quasi esclusiva (si pensi al tema della lotta alla corruzione). Tuttavia, i primi segnali lanciati da Vona non paiono propriamente incoraggianti: la “minaccia” di presentarsi alla prima seduta del nuovo parlamento con l’uniforme dell’estinta Guardia Magiara appare fuori luogo, oltre che foriera di sterili polemiche(4). In politica estera, invece, se risulta positiva la proposta di un’apertura verso est capace di riequilibrare e rendere più articolato e malleabile il ruolo geopolitico dell’Ungheria, altrettanto non può dirsi delle nostalgie pre-1920 comunque presenti all’interno del Jobbik. Da questo punto di vista la tensione coi paesi vicini, in particolare con la Slovacchia, sembrerebbe destinata ad aumentare. Anche perché, al di là del Danubio, acquistano forza formazioni politiche con rivendicazioni di segno opposto rispetto a quelle del Jobbik.
* Francesco Rossi è dottore in Relazioni internazionali (Università di Bologna)
Note
- http://www.ft.com/cms/s/0/87a9efbc-4664-11df-9713-00144feab49a.html (5 Maggio 2010)
- http://www.jobbik.com/jobbik-announcements/3168.html (5 Maggio 2010)
- http://jobbik.com/temp/Jobbik-RADICALCHANGE2010.pdf (5 Maggio 2010)
- http://www.politics.hu/20100426/why-gabor-vona-should-wear-white-rather-than-black-on-his-first-day-in-parliament (6 Maggio 2010)